19.10.05

Briciole di lancette


Facce infreddolite come panchine di marmo con un "contorno occhi" color notte e sapido di sonno consumato fugacemente.
Una voce elettronica annuncia ai viaggiatori che il treno per la città avversa(R) arriverà, ma con un ritardo di 55 minuti. Sempre il computer si scusa per il disagio.

Quanto valgono le scuse di un computer che riesce a dirti della nascita di un bimbo o di una bomba che arriva con la stessa suadente inflessione vocale?
Quanto vale un'ora di attesa per due amanti che aspettano giorni per due ore di sesso?
Quanto vale un'ora di vuota attesa per il marito di una femmina cone le doglie?

Un'ora ha forse un valore intrinseco assoluto.
Un'ora ha forse un valore intrinseco relativo. Soggettivo.
Simile al dolore. Simile alla gioia.

Un'ora è energia sprecata dalle lancette di un orologio che ruota rammentandoci che il tutto stà per scadere. Che il tutto sta per cominciare.
Un'ora è un frangente di fioriutura di un bocciolo.
Di sfioritura.

E' un coito.
Un risultato atteso.
Lo sguardo di una donna che fissa la porta dell'addetto al prelievo istologico del nodulo al seno sinistro.
Ora: battito d'ali di un bombo.
La durata dell'orgasmo mentale di un tossico.

Stamattina ho perso un'ora. La rivoglio.
Qualcuno me la dovrà ridare indietro.

Scalcio un cane.
Salto sui binari.
Cado. Figura di merda pubblica.
Mi ungo di olio di motori di treni a scoppio diesel.
Agguanto la maniglia della sala macchine.
E' bloccata.
Mollo un cazzotto.
Si sbriciola il vetro sotto lo squarcio del mio pugno.
C'è uno che guarda un film comico che si affretta a tirar giù le gambe dal tavolo.
4 secondi. Stramazza a terra.
Si tiene le palle.
Abbasso tutte le leve. Schiaccio ogni interruttore.
Ultimo calcio: glielo infilo tra i denti.
Via. Corro via.
Sulle scale. Nella strada. Attraverso le piazze.

Mi schiacciano la faccia nel marmo freddo di una casa settecentesca con i bordi in stucco decorati come odiosi capitelli greco-romani. Mi lussano la spalla destra.

Il mio reato è punibile.

La mia punizione è sedermi e aspettare.
Aspetto in una delle tante sale d'attesa dove, in tanti, guardiamo dalle finestre un sole così forte che l'ombra delle sbarre ci resta sui vestiti. Si fotoincide sulla nostra pelle.

Il secondino controlla che l'attesa dei viaggiatori sia democraticamente accettabile.

L'attesa è la punizione dei nati vinti.