30.9.05

i guerrieri


I guerrieri molte notti non si lasciano ai sogni.

Nascondono i loro occhi nelle feritoie della notte.
Dormono in letti di stanze di castelli che vagano senza meta in ogniddove.

Rientrano la notte con le ali spezzate e la bocca amara, il cuore ferito.
Feriscono le persone che li amano.

Lasciano dietro e intorno cerchie di aguzzini.
Certe notti non dovrebbero finire mai per i guerrieri. Nelle coperte si dissetano di pace. Bevono dalla bocca quieta delle ombre.

Poi ogni tanto spariscono.
Hanno bisogno di dimenticare. Tutto.
Lasciano castelli e medioevo mischiandosi con gli altri.
Sciolgono le loro membra in compagnie maneggianti carte da scopone.
Sorridono a birre bevute distrattamente in ordine sparso.

Poi a volte perdono la serenità.
A volte la poesia.
A volte scappano, chiudendosi in soffitte piene di zanzare bevendo molto, o abbastanza.

Spesso scassano il cazzo a qualunque cosa gli passi davanti.
I guerrieri si scassano il cazzo pure di loro stessi.

I guerrieri amano così tanto che finiscono col detestare tutto.
Ma a volte per un pò la finiscono e sorridono.
A volte.

Ma mò basta.
I guerrieri sono servi dei re dei meandri dei loro pensieri.
Servi liberi. Liberi sudditi.
Libertini liberticidi.
Schiavi della tirannide.
Come tutti.
Per ciascuno cambia il principato d'appartenenza.
La giustizia come lo scopone. O un santo. O una festa di paese. O i soldi.
O la fessa.

26.9.05

esigenze


C'è un bisogno di una censura.
C'è un bisogno di una denuncia per chi alza parole di demoniaco sberleffo.
C'è un bisogno di tagliare variegate opinioni.
C'è necessità di opinione unica.
C'è un bisogno di univocità nella trasmissione dei concetti da dare in pasto a chi offre il potere ai seviziatori dei plebisciti post-democratici.
C'è un bisogno di sentirsi uguali agli altri.
C'è un bisogno di investire capitali in oggettistica contraddistinta da marchi accettati dalla comunità circostante.
C'è un bisogno di globalizzazione del PENsierO.
C'è esigenza di antidestabilizzazione delle masse e dei pesi.
C'è bisogno di evitare parole poco importanti per il fine.
C'è urgenza di evitare pensieri.
Per un mondo migliore c'è bisogno di adesione pubblica e totale, non chè totalizzante.
C'è urgenza di pensiero collettivo.
Di dinamiche di branco.

C'è bisogno di una bomba.

22.9.05

Luana la puttana



Prendo il treno quasi ogni mattina quando mi và.
Cambio per la coincidenza... è una coincidenza davvero. Credetemi.

Manifesto, cornetto e cappuccino.
Incontro Luana.
Vado nella città avversa. Rientro.
Cambio e ho la ricoincidenza.
Nell'attesa incontro Luana.

La sera, spesso, passo per la stazione di cambio: Caserta.
La stazione di Caserta è una specie di bidone della monnezza a ridosso di un viale proprio davanti alla Reggia. Il monumento più bello del mondo. Più brutto del mondo.

La stazione di Caserta puzza un pò di piscio.
La stazione di Caserta di notte è piena di poveracci che salgono sugli espressi che vanno a nord.
Ogni notte alla stazione di Caserta i disperati si imbarcano come anime in pena sul treno della speranza.
Ogni notte alla stazione di Caserta ci sono amanti clandestini, ricchioni che girano coi ginz attillati sul culo, gli spacciatori e due poliziotti.
Ogni notte alla stazione di Caserta i poliziotti fermano gente del medio oriente, quando ai marocchini gli va bene.

Ogni notte alla stazione di Caserta incontro Luana.

Luana è alta più di me.
Ha capelli rosso fuoco che la sera alliscia e aggiusta a fontanina sopra la testa.
Luana la mattina e il pomeriggio puzza.
E' accigliata e agitata. Parla da sola.
La mattina Luana si fa pagare la colazione dalla barrista che alleva cani bastardi e con le zecche.
La mattina tutti insultano Luana che trema per per ll'umiliazione sui suoi tacchi a spillo.

La sera Luana è pulita e fresca. E' vestita meglio e ha il trucco soft.
Un rossetto leggero.
Profuma di nuovo, come gli occhi che indossa.
La sera Luana è felice perchè gli amanti che la insultavano la invitano al tavolo a mangiare un orgasmo, e brindano con lei al seme della vita.

La sera Luana è impiegata presso le ferrovie.
La sua specialità sono i pompini formato A4 e le inculate con la faccia sui tasti dei relé.
Quando le va bene le fotocpiano le tette e le attaccano vicino ai cessi.

I cessi della stazione sono chiusi, e spesso qualche tossico bacia Luana sulla bocca dentro un bagno chimico.
Poi se ne va.
Luana rimane.
Da quando la casa dei matti è chiusa Luana dorme nell'ascensore per gli handicappati del binario 2. Dove pisciano i cani della barrista.

Ieri i saldi erano finiti e i negozianti buttavano la robba. Comprai una maglia da femmina. 2 euro. Per Luana.
Quando andò in bagno e la indossò sembrava una principessa.
Quando uscì mi guardò innamorata.

Ero con Peppino.
Mi sorrise e stava per abbracciarmi.
Era felice. Io pure.
La allontanai con una mano gridandole sul naso la sua pazzia mentre gli occhi suoi mi cercavano.

Era mattina. Andava trattata male, e io ero un uomo come tutti gli uomini della stazione.
Di mattina io odio Luana.
La amerò stanotte.
Con la maglietta nuova.

Oggi è luna piena.
Brillerà, Luana, sotto la luna delle stelle.
Sotto i manganelli delle guardie.
Come ogni notte.

15.9.05

matrimonio in corso...


Non il mio. Speravate che mi inguajassi giovine giovine... tsssk.

Tutto è pronto.
Mi sono fatto le mesce. Mi sono accattato il vestitiello bbuono.
I capelli li ho fatti oggi dal mio barbiere di fiducia. Angioletto.

Quando me li ha tagliati era simpaticissimo. Era abbastanza brillo.
Se ci vai la mattina, invece, stà tutto incrufagnuto che si è dovuto scetare per forza e caca il cazzo a Leopoldo, il guaglione di barbiere. Lo manda a giocare al bancolotto ogni 13 minuti.
Ovviamente si gioca pure i numeri dei clienti.
Prima di andarmene, come tradizione vuole, mi ha offerto una PERONI e ce la siamo bevuti seduti sullo scalino llà fuori.
Un caldo esaggerato oggi. Tira ancora aria di staggione.

- Angiolè, embé?
- Guagliò, mi si so fatti pure i peli nel naso bianchi. Ma il pesce funziona sempre!

- Hauahauh. Almeno sparagni sul VIAGRA.

- Si si, ccà avimma sparagna 'ncopp j puttane!

- Huahuahau! Angiolé si o' meglio!

- Si si, ma soreta si sposa?
- Eh si, sò cuntento!

- Ma come? Quella da domani si chiava a uno fisso e tu sei contento? E di che sei contento?

- Che ne saccio Angiolé, almeno tene o' pescio fisso, visto che o' posto fisso non cestiste cchiù! E poi se vonno bbene...
- Ambé. Allora si se vonno bbene è tuttapposto!

Angioletto è un uomo molto sensibile.
La camicia stirata è già sul divano.
Le scarpe, nere, le ho comprate dall' ultimo calzolaio italiano superstite ad Aversa (la città avversa; antonio docet).
Non le ho pagate molto. Ma sono molto brutte.
Però sono da matrimonio.

L'addio al celibato.
Le zoccole, le zizze, le maniate per 5 euri, i pesci tuosti, le birre, l'alcool, i rattusi, la notte, le strade, Napoli bella, le brasiliane, le donne dell'est... noi sciarmati e, sullo sfondo, scenografie di cartapesta color rosso fuoco a voler incendiare un'indelebile promessa alla libertà dell'individuo.

Ma lui, lo sposo, berrà poco e sarà tranquillo.
Domani gli tocca. È felice.
E vafanculo sò felice pur' je.

11.9.05

Essenza primordiale


Gli uomini sono uomini.
Vengono dopo dolori immensi nascendo da un utero. Pieni di sangue.
Crescono provocando dolori immensi fino al sangue. Per vivere.

Le mosche, invece, nascono dalla merda e poi volano via.
Anche loro ritornano. Alla merda. Per vivere.

La vita è un eterno ritorno allo stato primordiale dell'essere.

Che bello.
Svanirò in un orgasmo.

7.9.05

Abnegazione della dedizione alla scelta


Scelgo di dedicarmi al lavoro.
Scelgo di dedicarmi allo studio.
Scelgo di dedicarmi all'amore.
Scelgo di dedicarmi alla famiglia.
Scelgo di dedicarmi a Dio.

La chiamano scelta i comunisti.
La chiamano "idea di vita" i fascisti.
La chiamano vocazione i cattolici.

Svegliarsi e lavorare/studiare e non perder fiato fino a tarda sera. Rincasare.Fare in fretta qualcosa che si ama fare lentamente. Non fare qualcosa che si ama fare.
La scelta è li. Aspetta.
L'oggetto della scelta vuole tutta la tua energia.

Tornare a casa e darsi ai figli. Alla moglie brontolona e coi capelli in disordine.
Abbandonarsi ale urla di chi nega se stesso per la scelta.
Alle frustrazioni di una vita di sacrificio.
Sempre lei: la scelta.

Pregare ogni minuto possibile.
Ogni minuto disponibile riempirlo di attenzioni verso qualcuno.
Lavorare ogni minuto possibile.

L'ideale si trasfrma nel mostro ce ti perseguita ogni istante e ti rincorre nei cunicoli streti dei giorni che sfilano sotto le tue cosce. Sotto le la gomma dei tuoi pneumatici.

L'abnegazione della dedizione è rinunciare alla propria vita per l'idea che ci si è falsamente costruiti della vita stessa.

Qualcuno ti dice che lavorare, fidanzarti stabilmente, sposarti, avere figli e portare i soldi a casa. Ti racconta che "è LA VITA".
E tu VIVI.
Convinto. Cieco. Conscio di avere in pugno l'essenza della vita.

E sbottano in strada parole che urlano "la vita è una merda" dalle bocche di cattolici centristi e di destroidi stalinisti.

Non avere tempo di grattarsi le palle.
Non avere tempo di abbandonarsi al divano e all'ozio.
Non avere tempo di scopare per bene una donna.
Non avere tempo di andare al mare o imboscarsi in una foresta.
Non avere tempo di scrivere e leggere quanto vorresti.
Non avere tempo di versare birra in calici di poliestere ad una stramaledetta sagra di paese.
Non avere tempo di farti un viaggio di 50 km e cambiare aria per 4 ore.

Non avere tempo per perderlo, per vederlo scorrere insieme alle molecole di vino che ti scivolano in fondo all'esofago.
Non avere tempo di non vivere.
Non avere tempo di non fare la tua scelta.

Io non scelgo.
Scelgo di non vivere.
Amo la non vita.
Quella che nessuno mi ha raccontanto perchè nessuno l'ha vissuta.
Solo i folli possono vivere la non vita.
Sono folle.

Scegliere di dedicarsi con abnegazione ad un "pensiero di vita", qualunque esso sia, è la più grossa delle minchiate che un essere umano possa osare fare.
E' scegliere la negazione stessa della vita.

Parola di taz.
Rendiamo grazie a taz.

2.9.05

Giggino Pesciafore: nemesi, metessi e parusia


Un giorno erano le 2 e ½ di un pomeriggio di un anno indefinito.
O era un giorno indefinito di un anno alle 2 e ½.
O erano le 2 e ½ e’ chivammuort.

Non fate troppe domande che sennò già ci cachiamo il cazzo e non vi contiamo più niente.

Era un giorno che erano già stati creati il cielo e la terra e Dio se n’era già andato in vacanza da un pò.
Per le vie del borghetto, un criaturo si aggirava ramingo con in mano una sciuscella ed un’aria furbetta. Nessuno aveva mai visto quel criaturo. Nessuno. Mai. Aveva. Visto. Quel criaturo. Fino ad allora.Ecajì ?!?

Il postino ubriaco giurò di averlo notato cacare il cazzo a un cane, e che non era uno dei suoi miatanti figli.
Il marisciallo dei carabbinieri lo vide passare 3 volte, del che redasse relativo verbale in triplice copia.
Il preute e il professore lo videro che si arrubbava la sciuscella dalla cascetta del verdummaro, che però non lo vide, sennò ci faceva il culo come la purpetta.
Il sindaco non c’era. Naturalmente. Capisciammè!
Dì lì a pochi passi il criaturo buttò a terra la sciuscella mazzecata, come i peggio zincari, e si dileguò nello svaporio estivo di quel che fu il pantano delle ufere di Lorenzo il Diavolo.

Per nove mesi, nove, mesi, la sciuscella non fu rimossa e germinò. I semi si diramarono in centinaia di oblunghe e curve radici. Dalla bruna scorza marrone promanò la placenta giallastra che presto si riempì dell’acqua delle ufere e la sera, sul far del tramonto, si potevano intravedere quelle che erano le mani, i piedi e il becco del tenero esserino immerso nel liquido sbrillucicante.

Non fu possibile predeterminarne il sesso, fatto stà che c’era un pesce appeso alla pianta. Quindi forse era maschio. Forse. Sicuro però era Giggino allo stato becco.

Giggino, nacque in un mesto giorno di une tenue maggio, quando già il camio di uno scinziato pazzo si stava carriando la pianta che si era comprato, abusivamente, da mano al verdummaro.

Appena Giggino fu con la capa fuori dalla pianta, il verdummaro vista la malaparata, zompò addosso allo scinziato pazzo e, con una cazzimma esagerata, gli chiavò una cazzo di coltellata dietro i rini.

Lo scinziato pazzo, non appena percepì il lancinante dolore della lama che gli squarciave le carni, con gli occhi al cielo gridò:

- Mannaggiaggesucristo!

Di lì a pochi secondi, spirò. Il prete impallidì, e i carabinieri dissero:

- E’ muorto.

E compilarono i dovuti atti. In triplice copia. Esattamente.

Il verdummaro si arrubbò il camio, la valiggetta coi soldi e sei monete d’oro appese al collo del Giggino nascente, che intraprese così il suo cammino senza speranza. Fottuto prima ancora di campare.

La genesi avvenne, sotto lo sguardo attonito dei carabbinieri che verbalizzarono il tutto in triplice copia. Naturalmente. Non facciamo il fatto del sindaco che non ci stà mai.

Ma Giggino era un supereroe dotato di poetri straordinari. Gaio. Bello come il sole. Capace di trasformarsi, all’occorenza, in Giggino Pesciafore. Un temibile beniamino, non il tabaccaro, col vestito di pelliccia blu, una cuppulella e una cresta arancione di plastica con il becco, erroneamente, posizionato tra gli occhi. ‘Ncul o’ cazz!

Sfrecciava per le strade di Castel Paturnio a bordo della sua fiammante ferrari a pedali creando lo scompiglio tra le morre di criaturi che giocavano a pallone e a settesichiatta fottendosi a vicenda con una cazzimma mai vista. Nessuno riusciva a fermarlo, nemmeno la famiglia dei vigili con l’autovelox in affitto.

I bambini di Castel Paturnio erano tutti dei figli di bucchino. Tranne uno. Leopoldo. Un guaglione di barbiere a tiempo perzo e per senza niente.

Giggino, per esercitarsi all’uso dei poteri, sfessava Emiliano ogni giorno che presto divenne il suo miglior amico. Nu grand amico!

Come Batman e Robin, Giggino ed Leopoldo sfidavano le forze occulte cercando di supplire all’assenza del sindaco. Che non c’era. Naturalmente.

Il preute comprava la Gazzetta di Castel Paturnio tutti le matine.

Mò basta, che già ci siamo cacati il cazzo. La seconda parte la scriviamo quando diciamo noi.
O meglio. Quando giggino ci dirà una poesia.