9.7.07

Armonie


Spingerei questi tasti, su cui muoiono i miei polpastrelli, come martelletti d'un pianoforte.
Trasformarei interi periodi grammaticali in armonie. Scritte in accordi, rumori in pizzichi di corde.

E vorrei che tutti questi caratteri scomparissero per sputare fuori da quanto scrivo l'essenza stesse della parole e lasciarle naufragare in un vuoto surreale fino a farle diventare musica. Una graduale inesorabile destrutturazione logica. Una corrosione del senso pragmatico. Una mutazione armonica.
Armonia senza pretesa saggistica.
Senz'ambizione narrativa.
Urla d'amore dell'amore che ha finito le parole.
Bestemmie di un blasfemo che ha finito i santi.

E sputerei sull'ammasso insalubre di carcasse di sintassi. Su questa catasta di connessioni. Su quest'amalgama di rottami letterari fino a, come nella genesi, sentirmi DIO che dà vita ad una fottuta mistura. Che non resti terra e acqua. Carta e inchiostro. Elettrone e fosforo. Impulso e cristallo liquido.

E come da un sogno mi leverei a non sentire più parole d'addio, ma armonie che evochino infantili sensazioni d'abbandono.
Percepirei il fascino del silenzio soppiantare gl'inutili discorsi.

E per tutti: doti compositive al posto dello sforzo dell'alfabetizzazione.
Opere al posto di parole d'amore.
Tuoni invece che rabbia.
Rombi e rumore di pioggia colonna sonora d'impetuose passioni.


Stracciare via alla realtà il peso dell'ineluttibilità delle parole e lasciarsi la leggerezza delle sensazioni.
Vivere nell'armonia dell'essere e sciogliersi l'anima nell'aria.

Ma io sono un fottuto ingegnere.
E queste restano vergognose parole.
Parole che manco dio ha saputo trasformare in armonia.

Che ci tolga le parole dio, e ci regali armonia.