30.10.07

autoriflessione n.1

Io non credo nei rapporti. Nelle case e nei mutui, nelle famiglie, nei matrimoni e, soprattutto, non credo negli animali domestici.

24.10.07

Il lavoro al Sud nelle PA

- Quand'è pronto il contratto?
- Quale contratto.
- Quello di ottobre-marzo. Quello per cui vengo a lavoro da 1 mese, cazzo.
- Lavoro? Un mese? Ma se è la prima volta che ti vedo chi sei?
- Eleonora non dir cazzate.
- Taz sai, io sono solo il braccio. Io sono sincera. Io ti voglio bene. Ti stimo molto e nel futuro, se penserò qualcosa di poetico penserò a te...
- ...
- ...
- ...
- ...e se ci sarà un tramonto bellissimo penserò a te.
- ...
- Ma i soldi non ci sono. Io ce l'ho messa tutta. Mi sono fatta stuprare per questa causa, ma la mia giacca di visone non l'ho comprata coi soldi del progetto.
- ...
- ...si occhei, è vero. L'ho comprata coi soldi del progetto, ma sono quelli vecchi... credimi. Io ti amo. E se potessi mi leverei il cibo dalla bocca per te.
- ...
- ...
- Mannaggiaddio.
- ...

19.10.07

Capitolazione


Dopo una notte di pioggia, all'alba, il cielo era livido.

L'aria tagliente preannunciava l'inverno.

Le gocce semiasciutte sparse tra i granelli li rendevano più consistenti. Il sabbione misto ai rovi di quella spiaggia intatta offrivano resistenza al piede nudo che non cedeva. Non affondava. Deciso incontrava la spuma, le conchiglie_case_morte di molluschi crepati a settembre.
Sassolini, sassolini. Ancora sassolini.
Milioni di sassolini per Francesca.
Chili, quintali. Cave di sassolini e conchiglie.

Sul far della battigia ovunque erano tracce di gabbiani. Zampate di gabbiani. Talloni di gabbiani. Piume di gabbiani. Cacche di gabbiani.

I millemila Jonathan Livingston non volteggiavano: planavano, su quelle spiagge sopra le nostre teste. Di fianco alla scala enorme, di legno aspro, che per gradini portava al paradiso lembito d'acqua salata.

Lo ricordo il suo maglione, era di quel bianco ingiallito di fintapecora, con una cirniera che le tagliava il petto dalla gola al pube passandole tra i capezzoli duri. Il collo schiacciato con in rilievo disegnate tante linee parallele ed oblique.

Sfilati via, i ginz lasciarono la sua pelle secchissima assolarsi ai raggi d'ottobre. Le sue culotte di velo ed organza, di un lilla tenue, scoprivano i pochi peli della sua vagina che ritrovai d'improvviso assalire il mio bassoventre.
Non avrei creduto di fare l'amore lì, sui gradini di legno della scala del silenzioso paradiso.
Non avrei creduto di cedere ai suoi morsi sul mio mento, allo scroscio dell'acqua ed al vento teso delle ali gialle di volatili autunnali.
Non avrei creduto di penetrare quel singhiozzo unto di addio. Non avrei osato proiettare pensieri sui miei arti che avvolgevano quell'anima di cristallo.

Il mio corpo era in balia delle sue mani che, cavalloni, s'infrangevano sul mio corpo.
Le mie orecchie stordite dai gemiti suoi urla di cornacchie a valo raso.
Il mio profumo in balia del suo.
Il mio cazzo in balia della sua bocca.

Si alzò d'improvviso la creatura. Si dileguarono le vesti seu. La brina venne su dagli arbusti e le farfalle ne intrecciarono la poesia in un abito lungo. I corvi lo colorarono di rosso posandole al capo una corona di castagno.

Camminò sulle punte lungo la legnosa passerella, il braccio sinistro semichiuso a stringere fiori eterei.

Cadde nelle mie braccia e invitammo i gabbiani al banchetto della nostra congiunzione.
Non avrei mai creduto di piangere d'amore.

Resta cu' mme
pe' carità
statte cu' mme
nun me lassà.

Famme penà,
Famme 'mpazzi'
Famme dannà,
ma dimme sì.

Moro pe' tte',
vive pe' tte.

Vita da' vita mia
nun 'me 'mporta do' passato
nun 'me 'mporta e chi t'ha avuto
resta cu' mme'...
cu 'mme.
..
famme penà
famme 'mpazzi'
stattè cu' mme
nun me lassà ...
resta cu' mme....
nun me lassà
..
vita 'dda vita mia
nun 'me 'mporta do passato
nun 'me 'mporta e chi t'ha avuto
resta cu'... mme...
cu... 'mme

D. Modugno - Resta cu me'.

15.10.07

La Svizzera dei Clan

Un paesino del casertano ha ospitato il gotha dei latitanti di Cosa Nostra.
Pignataro è un posto idilliaco, in cui ognuno però sta ben attento a fare
gli affari suoi: sennò finisce male

di Roberto Saviano

_____

PIGNATARO MAGGIORE (Caserta).

È passato di qui. Bernardo Provenzano il capo dei capi di Cosa Nostra, è passato a Pignataro Maggiore piccolo paese di circa 7000 abitanti del casertano. La notizia rimbalza tra le persone, sui banconi dei bar, tra le signore sedute sulle panchine della piazza, ne parlano i pensionati, i
ragazzi seduti sui gradoni della chiesa, un’indiscrezione che si espande silenziosa come un pettegolezzo o come confessione di un’impronunziabile verità. Ricercato da quarant’anni, Binnu u trattore o Binnu u ragioniere, come pare oggi lo chiamino, sarebbe l’ennesimo boss dei corleonesi ad aver prescelto Pignataro Maggiore come luogo sicuro per la latitanza fuori dalla Sicilia, prima di lui vi hanno soggiornato Luciano Liggio negli anni Sessanta, Michele Greco negli anni Ottanta e Totò Riina negli anni Novanta.
Pignataro Maggiore paese dell’agro-caleno sembrerebbe un piccolo e innocuo
centro, identico a tanti che sono possibili incontrare in Campania. La sua storia invece è inquietante.

Conosciuto anche come la «Svizzera dei clan», Pignataro Maggiore è territorio da sempre egemonizzato dal clan Lubrano, imparentato ai potentissimi Nuvoletta di Marano di Napoli, affiliati campani dei corleonesi (Raffaele Lubrano figlio del boss di Pignataro ha sposato Rosa Nuvoletta).
Lubrano e Nuvoletta sono famiglie legate a Cosa Nostra, agiscono quindi con una logica differente dalle famiglie camorriste e sono sottoposte direttamente alla cupola mafiosa. Pignataro Maggiore è l’unico territorio nel casertano gestito direttamente da Cosa Nostra, eppure di questa «colonia» mafiosa nel territorio campano non si parla; pochi, pochissimi, sono coloro che si espongono, scrivono, denunciano. Uno di loro è il giornalista Vincenzo Palmesano. Lo incontro a casa sua, a Pignataro.
Palmesano, intellettuale da sempre impegnato nella lotta alla mafia di Pignataro Maggiore, ex direttore del quotidiano Roma, militante di Alleanza nazionale, ebbe il coraggio al congresso di Fiuggi di chiedere al suo partito di rinnegare l’antisemitismo e di considerarlo una colpa della
destra italiana. Dopo questa presa di posizione, ha subito un duro isolamento politico all’interno di An. Chiedo a Palmesano se la presenza di Provenzano è soltanto una leggenda: «Non è affatto leggenda, è cosa assai probabile che il capo di Cosa Nostra sia passato da queste parti e usi
Pignataro Maggiore come una delle basi della sua latitanza. D’altronde lo stesso hanno fatto i suoi predecessori. Tutti i boss corleonesi hanno abitato questo paese durante la latitanza e non solo».

Risulta difficile immaginare che i potentissimi boss di Cosa Nostra che avevano la possibilità di raggiungere i luoghi più impensabili, abbiano scelto per la latitanza questo minuscolo paesino circondato dalle campagne, tra Capua e Teano. Il rapporto tra Corleone e Pignataro ha però origini remote. Luciano Liggio il patriarca, l’artefice della presa del potere assoluto in Sicilia del clan di Corleone, trascorse lunghi anni della sua latitanza a Pignataro Maggiore. Il suo tempo lo trascorreva in una grande villa in campagna non disdegnando però passeggiate serali nella piazza del paese, si concedeva delle discussioni con le persone del posto ed anche qualche partita a carte. Liggio, ha lasciato nel paesino un ottimo ricordo…
così lo descrive Nunzio, contadino di 77 anni: «Era una persona squisita, gentile. Io ho parlato con lui parecchie volte, di ciclismo e di calcio. Mi offriva da bere. Qui tutti lo conoscevano. Capimmo che era Liggio quando lo arrestarono a Milano e lo vedemmo in televisione. Era spesso triste quando passeggiava per le sue terre, come se gli mancasse qualcosa. Mi è dispiaciuto molto quando è morto». Una sensazione simile l’ha avuta con un altro boss, anche la signora Teresa, 60 anni ex lavandaia che racconta: «Quando vidi Riina alla televisione con le manette, mi sembrava di averlo già visto da qualche parte. Dopo alcuni giorni mi sono ricordata che l’avevo visto proprio qui a Pignataro, avevo lavato e stirato le sue camicie, molte volte. Non sorrideva mai, era cortese ma sempre serio, anzi triste, come se avesse passato un guaio! Si vedeva poco in giro». Riina a Pignataro Maggiore era effettivamente di casa. Partecipò da latitante al matrimonio di Gaetano Lubrano (fratello del boss Vincenzo) e vi giunse in pompa magna assieme ad altri mafiosi, che pare esser stati Pippo Calò, Leoluca Bagarella e proprio Bernardo Provenzano, venuti a omaggiare una delle più fedeli famiglie di Cosa Nostra, i Lubrano appunto. Il pentito Francesco Abbate di Pignataro Maggiore ha raccontato che in quell’occasione fu proprio lui a mettere in salvo da alcune pattuglie dei carabinieri Totò Riina, portandolo tempestivamente in una villa di campagna.

L’ELEGANTE GRECO. Di Michele Greco, detto «il Papa», si hanno in paese ricordi sfocati, Nunzio dice che «soprattutto le donne di Pignataro si ricorderanno di Greco, snello, elegantissimo, sempre con i capelli imbrillantinati, nu’ bell’omm!». Il colono che curava le terre della villa dov’era ospitato Michele Greco organizzò il banchetto per la comunione del figlio a spese del boss. Non si sono mai riscontrate manifestazioni di ribellione contro il potere dei clan, mai un pignatarese si è insospettito per l’accento siciliano di uno strano ospite. Palmesano accenna un sorriso: «Qui la paura è tanta, i mafiosi non ti permettono di chiedere scusa. Se
sgarri sparano e basta. Non è solo la paura però che fa tacere le persone di questo paese. Cosa Nostra qui gestisce l’economia, i posti di lavoro, da loro dipende la vita degli individui. I Lubrano attraverso l’impresa edilizia CO.GE (Costruzioni Generali) di proprietà di Raffaele Lubrano e sua
moglie Rosa Nuvoletta, sono penetrati in tutte le aziende della zona, dove gestiscono centinaia di posti di lavoro. Questo significa avere consenso e disporre anche di voti».

Quando Raffaele Lubrano fu ucciso nel 2002, proprio a Pignataro per motivi ancora sconosciuti, i suoi funerali furono una fiumana di persone, tutte riconoscenti della magnanimità e del potere del boss. Nel posto esatto dove Lubrano è stato ucciso, vi sono fiori freschi ogni mattina. Il consenso al clan è esponenziale. Pignataro Maggiore risulta essere una base militare operativa per gli omicidi decisi da Cosa Nostra sul continente. Nel summit mafioso organizzato dai Nuvoletta a Marano di Napoli, che ha decretato la morte il 23 settembre 1985 del giornalista de Il Mattino Giancarlo Siani, partecipò il boss pignatarese Gaetano Lubrano, dando, secondo un pentito, il suo parere positivo all’assassinio. Altro omicidio eccellente in cui sono stati coinvolti i pignataresi è quello del sindacalista Francesco Imposimato ucciso a Maddaloni l’11 ottobre 1983, fratello del giudice Ferdinando Imposimato. Francesco Imposimato fu ucciso per una vendetta trasversale contro il fratello magistrato che stava indagando a Roma su Cosa Nostra. Per l’omicidio Imposimato sono stati condannati all’ergastolo in via definitiva Pippo Calò, cassiere di Cosa Nostra a Roma e capo della famiglia mafiosa di Porta Nova a Palermo, Antonio Abbate, boss di Pignataro Maggiore; Vincenzo Lubrano, il boss di Pignataro Maggiore è stato condannato all’ergastolo in I grado, assolto in appello e la Cassazione ha annullato la sentenza d’assoluzione e ha disposto un nuovo processo d’appello iniziato lo scorso 24 settembre a Napoli. Quando don Vincenzo Lubrano è stato assolto in appello, nel processo Imposimato, ha organizzato un pellegrinaggio con due pullman a San Giovanni Rotondo per ringraziare Padre Pio, artefice, secondo lui, dell’assoluzione. «I pignataresi», ricorda il giornalista, «hanno partecipato numerosi alla sacra gita anche perché tutto era spesato da don Vincenzo». Il defunto figlio di don Vincenzo Lubrano, Lello, religiosamente fece restaurare a sue spese, nella sala Moscati attigua alla chiesa madre di Pignataro, un affresco raffigurante una Madonna. È detta la «Madonna della camorra», visto che vulgata vuole sia la Madonna a cui tutti i boss passati di qui si sono appellati per poter ricevere in grazia una latitanza serena. Non è difficile immaginarsi Totò Riina, Michele Greco o Bernardo Provenzano chini sugli scranni dinanzi all’affresco della Madonna, implorare penitenti
d’esser illuminati nelle loro azioni e protetti nelle loro fughe.

Quando si passeggia per Pignataro Maggiore si avverte una sensazione
ambigua; da una parte la serenità del piccolo paese, composto da lunghe file di villette, piccoli giardini recintati, poco traffico, giornate trascorse dinanzi alla chiesa o al bar, frutteti sterminati e biondissimi campi, dall’altra parte si notano gli occhi puntati con sospetto sui «forestieri», i gesti attenti di chi ossequia con ostentazione la moglie del boss oppure ci s’imbatte nell’inaspettato cubo di cemento armato dell’azienda chimica costruita su terre di Cosa Nostra. Pignataro è un posto strategico per la gestione della latitanza, visto che si trova in una piana da dove è possibile dominare le strade d’accesso ed in caso di pericolo, fuggire nei casali più sperduti delle campagne o addirittura scappare per il budello di paesini limitrofi, un vero e proprio labirinto. Se poi si aggiunge che sino a qualche anno fa non esisteva neanche un presidio di polizia, il mistero di Pignataro come capitale della latitanza per Cosa Nostra è svelato. Il paesino è circondato da latifondi, da immense proprietà terriere dove si ergono quasi come sentinelle, le ville dei boss.

TORRETTA DI GUARDIA. Le ville che ospitarono (e ospitano?) i corleonesi e quelle che continuano ad ospitare gli uomini del clan Lubrano si trovano in aperta campagna, per raggiungerle bisogna percorrere piccoli sentieri appena asfaltati. Sono più propriamente bunker, recintate da mura di cemento armato, con alti alberi che occultano le facciate, non esistono finestre che danno sull’esterno, hanno vetri oscurati, telecamere ovunque. Pur essendo molto grandi, con campetti di calcio e piscine, all’esterno risultano compatte, raccolte, simili a presidi militari, strutturate a guscio d’uovo.

Con Palmesano, mi avvicino alla villa di Vincenzo Lubrano. Cancelli, telecamere, muri di cemento armato, un edificio centrale che svetta come una torretta di guardia. In questa villa ci sono stati summit di Cosa Nostra, per il sentiero che sto percorrendo è passato il gotha della storia mafiosa.
Luciano Liggio, Michele Greco, Saro Riccobono, Pippo Calò, Totò Riina, Leoluca Bagarella, sono soltanto alcuni dei nomi accertati che sono transitati per questa villa. Mentre procediamo, notiamo un’Alfa 145 rossa che ci segue. Non ci molla un attimo, quasi ci tampona, «è normale»,
rassicura Palmesano,«qui tengono sotto controllo tutto». Le terre che attraversiamo, i fienili, le aziende ortofrutticole, tutto è di proprietà dei Lubrano-Nuvoletta. Qui ci sono delle proprietà appartenute a Luciano Liggio tra cui 100 moggi di terreno confiscati dalla magistratura ad Angelo Nuvoletta. L’abitazione bunker di Raffaele Ligato, nome storico della mafia pignatarese, imputato per l’omicidio Imposimato è stata sequestrata dalla magistratura, ma Ligato ha continuato a viverci in tutta tranquillità sino a pochi giorni fa. Mentre decine di agenti della polizia con difficoltà sgombravano la villa-bunker tra imprecazioni e urla delle donne del clan, Ligato si è rivolto con fare sbalordito al sindaco Giorgio Magliocca (An) lì presente: «Ma come dopo tutti i voti che ti ho fatto avere, mi fai togliere la casa?». Qui né destra né sinistra né centro sembrano aver avuto la forza di combattere le cosche. C’è una sottovalutazione totale del caso Pignataro Maggiore, perché Cosa Nostra e i clan locali hanno organizzato un sistema di potere sotterraneo che non genera fatti di sangue, rapine, scontri. Questa terra è appunto la Svizzera dei clan, tutto scorre in maniera serena, pacifica. Lo stesso padrino don Vincenzo ha dichiarato che a Pignataro la camorra non esiste, ma ci sono solo extracomunitari che rubano motorini.
Procedendo, ci fermiamo nella piazzetta, qui Palmesano è riuscito a ottenere che si piantasse un albero in memoria di Paolo Borsellino affiancato da una targa in marmo con il nome del magistrato. Una mano anonima pensò bene di imbrattare la targa con la scritta e «W la camorra», e poi di fracassare la targa, posta proprio davanti al Comune. La targa oggi è tornata al suo posto. Ma è una guerra continua: «Ho dovuto scontrarmi con devote persone
che volevano sradicare l’albero per far posto a una statua di Padre Pio. Al che ho fatto presente che la piazza di Pignataro era abbastanza ampia da ospitare le due cose assieme».

12.10.07

L'album di Famiglia

Divina iniziativa de il manifesto:
L'album di famiglia

Un album di figurine che ripercorre tutte la storia del comunismo dalla prima internazionale ad oggi a soli € 3,90.
Le bustine costano € 0,90 e le puoi scambiare con gli sporchi comunistelli del quartiere, giocarle a rubbamazzetto o al famoso giochino del "ppà!"

E nel mio 5° pacchetto ci è uscito Tonino Gramsci!
Ficotronico.

10.10.07

Palle fritte

Mio padre è sempre più stanco
e provato
e guadagna sempre meno.
Anzi no.
Guadagna sempre uguale
ma il mondo vale di più.

Se non ci fosse il secondo cavallo.
Se non ci fosse il terzo cavallo.
Se non ci fossero il settimo e l'ultimo.
Chi cazzo sarebbe il primo cavallo?

Un coglione
e fruscii di applausi.

Compleanno di Mirko

Taz: Oggi sono 4 mesi che non mi pagano. Fottuti soldi. Il credito skype!

Lo faccio o non lo faccio? Gliela canto la canzoncina o la lascio stare? Dove cazzo lo vendono il sorriso per cantare canzoncine di compleanno. Cristo, sono sempre più solo.
Gliela canto.

Mirko (con la bocca piena): Brondo?
T: Tanti auguri a te ....
M: mmm....

T (meno felice): ...Tanti auguri a te ....
M: ....
T (sempre meno felice): ...tanti auguri a MI R KO...
M: ...ma chi cazz sì?
T (decisamente triste): .... auguri. Auguri o' cazz.
M: Taz! Grazie. Mia mamma mi dice che la devi smettere di scrivere sui muri.
T: ...
M: Cos'hai imbrattato?
T: Mirko auguri.
M: Che cos'hai fatto con lo spray.

si sente dietro la madre che gesticola.

T: Mirko, ho disegnato su un muro un cazzo enorme, e sotto ci ho scritto "pescio". Ho trent'anni.
M: Allora va bene. Io sono quì fino a dopodomani se ci vogliamo vedere allimite...
T: Mirko auguri.
M: Grazie. Se ci vogliamo vedere... non so (imbarazzato avanza frasi di circostanza)...
T: Ci vedremo quando vorremo.
M: Va bene. Notte...
T: termina chiamata.
Skype: 3 euro.
T: Che schifo.


4.10.07

Italia

Il potere esecutivo è inutile.
Il potere legislativo non legifera in favore dei cittadini.
Il potere di controllo degli organi competenti è fallace.

L'unica ancora di salvezza i cittadini la mettono nelle mani di una magistratura che, si spera, distrugga la politica becera.
Ma la magistratura italiana è sempre più controllata.
La nazione è al collasso sociale, giuridico, legislativo, esecutivo, culturale, scolastico e soprattutto LAVORATIVO.
Non c'è futuro per nessuno.
E ricordo la scena finale de "Il Caimano" di Nanni Moretti.

3.10.07

Università Italiana

Taz: Si?
Stronzo: Taz, venga nel mio studio. Subito.

Taz: Buongiorno.
Stronzo: Quale buongiorno?

(Taz guarda fuori dalla finestra)

Stronzo
: Hai stampato tu l'orario delle lezioni del laboratorio di teledidattica?
Taz: Ovvio.
Stronzo: Non è ovvio un cazzo.
Taz: Ovvio.
Stronzo: Chi ha deciso che i corsi cominciano martedì!? E chi ha deciso quante ore devo fare!? E chi ha deciso che finiscono il 12 novembre!?!?
Taz: Il prof. Salvemini.
Stronzo: MA CHI È? VOGLIO SAPERE CHI CAZZO È IL SIGNOR SALVEMINI!!!? CHI CAZZO È?

(Salvemini, dal suo studio a 500mt di distanza sente ed arriva in 3 millisecondi. Cacato sotto)

Salvemini: Professore?
Stronzo: Salvemini, LEI NON COMANDA UN CAZZO!!! QUÌ CHI DECIDE SONO IO! SONO STATO CHIARO?

(Salvemini trema)

Stronzo: SONO STATO CHIARO, PORCO DIO? LEI NON COMANDA UN CAZZO!
Salvemini: Ma i ragazzi non ci sono, ci sono altri corsi che si accavallerebbero. È l'unico orario possibile.
Stronzo: LA POSSIBILITÀ UNICA SONO IO! E IL CORSO LO STABILISCO IO! E SE NON VENGONO A LEZIONE LI BOCCIO! O VADANO A FARE NEL CULO DI QUALCHE ALTRO ATENEO, CRISTO SANTO!
Salvemini: (voce tremolante) Va bene...
Stronzo: (sorridendo e con aria distesa) Bene ci siamo chiariti.

Stronzo: (rivolto a Taz) Vai.
Taz: Sono affranto. Ma da quand'è che l'ha sorpresa?
Stronzo: Cosa?
Taz: L'andropausa.