22.6.07

ipotesi

Un viaggio.
Di sola andata senza meta.
Il mio passato s'è chiuso d'imprivviso. La mia vita si è spenta fino a deprimersi.
Non sono questo io. Sapere chi si è una pretesa assurda. Ma cercare di sentirsi meglio. E' la vita che me lo chiede. Che mi urla di andare e cercarmi.
Mi mancano i boschi e i ruscelli e le notti in tenda.
Mi manca il mal di collo di quando si guarda il cielo per ore.
Mi manca d'interrogarmi e chiedermi cosa sono, cosa voglio, dove sto andando.
Mi manca di vivermi, di toccarmi e di sentirmi ancora io.

Nessuno a cui si è affettivamente legati permetterebbe mai che il "congiunto" partisse senza fissare il ritorno. L'affettivtà è una primitiva forma di possesso dell'altro che include la privazione, per accettazione implicita reciproca, di certe libertà essnziali.
Annunciare pesonalmente il viaggio sarebbe una cosa che m'impedirebbe di faro. Ci sarebbero tutti i motivi per non farlo. La deposizione della mia atestata carriera d'ingegnere, o le prospettive un degno futuro capitalistico.
Ma queste sono solo le cose che gli altri vogliono per me.
Mi ritrovo quasi morto, d'amore senza amore.

Ho bisogno di ritrovare tutto, almeno me stesso.
So che se ungiorno tornerò a casa (ci tornerò) mia madre mi accoglierebbe come le mamme sanno fare.
E' nella certezza dell'eternità della positività che voglio intraprenderlo il viaggio.
Senza scrivere troppe righe a nessuno, lasciando le cose importanti all'unico che so amico.

Ne ho bisogno. Devo farlo. Per me.
E' il mio amore per la mia vita a chiedermelo.
E se è l'amore a chiedermelo, lo faccio.